Sculture – Cecilia Ci

Decio Zoffoli, è uno di quegli scultori che non solo hanno scelto la materia, ma sono stati scelti dalla materia, per dare ad essa dignità.

Si ispira alla lezione di San Francesco, questo artista tenace ed eclettico, attraverso parole, che sono direzione e guida al suo lavoro.

Ed ecco, quelle figure fatte di terra, di ferro, di vetro, di rame, di cemento.

Materiali duri, che lavora per dare forma, plasticità, infondere vita.

E i volti dei suoi personaggi, maschere che raccontano il dolore, la solitudine, la vecchiaia o il potere. E, talvolta, ricordano L’urlo di Munch. Volti carichi di sofferenza, volti scavati, carichi di espressività.

E’ scultura espressionista, quella di Decio: dell’Espressionismo, il suo lavoro ha l’intensità, la forza, il pathos, l’esasperazione del tratto, che si svela sotto forma tridimensionale.

Il suo, è il racconto del patire umano, l’intenso sentire di un artista che raccoglie la terrena sofferenza e le emozioni.
E’ una commedia umana, dove i suoi personaggi, a partire dai dipinti degli anni ‘70, raccontano la fatica dell’esistenza tutta: e i volti, sono quelli di vecchi sospesi fra la vita e la morte. Caratteri, che ritroviamo nella scultura degli ultimi tempi e il male di vivere. Ma non c’è disperazione, c’è in quei segni, larghi, profondi, ricavati dalla terra o dal cemento, qualcosa che invita a credere nel mistero, nel significato del passaggio dell’uomo sulla terra.

E c’è una figura in cemento, con le mani legate dietro la schiena, a simboleggiare le convenzioni, il consumismo, la schiavitù della contemporaneità. Eppure, l’uomo di Decio, è in cammino verso grandi ali della libertà, che l’autore ha voluto di ferro, in grandi dimensioni rispetto alla figura, per una dissonante espressiva significanza. Quasi a dire, che le miserie umane e la fatica, non sempre tolgono il coraggio di lottare, di credere, di sperare.

Non a caso, due eleganti figure, unite da un abbraccio simbiotico, si ispirano all’amicizia. Nate, ancora una volta dal cemento, cui l’artista dona eleganza e leggerezza. Così, Decio, ha voluto sublimare qualcosa in cui crede profondamente.

Poi, le figure femminili, come fate o protagonisti di un libro di favole, forme di terra cotta che hanno i segni della vita, del tempo, della realtà.

Quando, il compito della loro identità, talvolta, è affidato ad una collana di perle, insieme ad aspetti, elementi di leggerezza: lembi di terra o di rame, come farfalle che devono vivere in fretta la loro breve vita.

E ci sono le Amiche del mondo, per un inno alla multiculturalità.

E c’è un Giudice, figura di uomo austero, insieme umile, fors’anche grottesco, che racconta il difficile compito del giudizio. Un’opera, che riporta alla memoria i Grotesque di Georges Rouault. Un giudice, che ha il corpo come una sciabola, nato dal ferro e i piedi sono nudi: qualcosa, come dice lo stesso autore, che lo riporta alla terra, all’umiltà. E, Decio per una sorta di identificazione, gli plasma un dito storto, come il suo.

A raccontare la sua anima, la sua poetica, c’è una figura seduta su uno “scranno” nudo e la veste minimale: solenne, nella pochezza materiale. Figura di San Francesco, uomo di ieri, uomo di cui il nostro tempo avrebbe bisogno.

Poi, volti e figure solitarie con gli occhi chiusi e poi aperti, spesso, i tratti del volto sono quelli dell’ autore, lacrime solide e lucide che scendono in silenzio, bocche spalancate, il difficile abbinamento dei materiali, la sfida alle leggi fisiche, il ferro che si sposa con la terra, che si lega al vetro.

Perché, l’ansia creativa di Decio non si ferma, la sua ricerca, guarda a nuovi elementi, a fusioni vetrose. Il colore irrompe, la forma abbandona la figura. Nuove sagome in libertà, hanno il compito di sottolineare l’espressione di questo artista che non si accontenta, che sperimenta, separa, modella, scolpisce, disegna, cuoce, fonde la materia e ogni volta esprime se stesso, le potenzialità della natura, la complessità dell’uomo e del suo agire.

Del suo stare sulla terra, sospeso come un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia, come sembra voler dire quando le sue forme, poggiano su grandi molle che accompagnano il movimento delle sculture e le sue forme di ferro, di vetro, di terra, di cemento, sono per lui “parola scavata nella vita come un abisso”.

Decio, porta con sé la sua storia, l’esperienza con il padre cementista e marmista, gli studi di architettura, lo studio, la passione per il design. Porta con sé la sua sensibilità, l’amore per la forma, gli anni dedicati alla sperimentazione, l’armonia, l’espressività del colore.

E c’è un intimo, personale resoconto, di una vita interiore che gli appartiene e che diventa tangibile attraverso il suo lavoro: linguaggio, che parla all’uomo dell’uomo. Anche quando compare la trasparenza e l’esplosione del colore, che irrompe, come un arcobaleno dopo la pioggia .

Sempre, le opere di Decio, svelano il senso della forza inclusa nella materia in potenza, esprimono l’attaccamento ad una Materia Madre.

Rivelazione, che indica l’appartenenza alla Religione della Materia.

Cecilia Ci